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Elvira Natalia Fraternali Leoni (Barbara)

Di Barbara Leoni, che sarebbe corretto appellare Elvira Natalia Fraternali, i biografi, concordemente, hanno sempre avuto un gran rispetto e le hanno tributato un primato tra le tante amanti di d’Annunzio, per intelligenza, grazia e bellezza. Non meno le venne testimoniato dagli amici del Poeta, in verità poco inclini a sostenere le sue donne. Eppure di Barbara avevano stima ed anche oltre, come vedremo dopo. Questo la rende particolare ed è piacevole ripercorrerne le tracce.

Anno 1887

Nella primavera del 1887, D’Annunzio passeggiando a Roma, in via del Babuino, fu attratto da una bella signora ferma davanti ad una libreria. L’amore per le stampe e i libri, per i quali la donna sembrava interessata, costituì un ulteriore motivo di interesse, al pari della sua avvenenza. E D’Annunzio era sensibile ad entrambe le qualità, figuriamoci se fossero racchiuse in un unico involucro. Va detto che in quella primavera egli era sposato con Donna Maria Harduin, dei duchi di Gallese ed era padre di due figli, l’ultimo dei quali nato l’anno prima. Ma ormai la passione e l’amore per la moglie volgeva al termine, tanto che questa aveva già sperimentato i primi tradimenti, il più eclatante dei quali venne consumato con la giornalista napoletana Olga Ossani. Intanto la bella scrutatrice della libreria in via del Babuino aveva colpito nel segno e D’Annunzio desiderava rivederla. Ma come? Egli godeva di un privilegio non trascurabile: quale cronista mondano delle migliori testate della capitale, spendeva il suo tempo nei caffè e nei ritrovi, laddove si addensava quel genere sociale che alimentava le cronache e i pettegolezzi e che costituiva materia per tanti articoli da terza pagina. Tuttavia questo privilegio non lo avrebbe avvantaggiato se egli il 2 Aprile di quell’anno non si fosse recato ad un concerto in via Margutta, a pochi passi dalla libreria che aveva attratto la bella signora. Il concerto era mediocre, ma tra il pubblico c’era lei. Il nostro non perse tempo e avvedutosi che entrambi conoscevano il pittore Guido Boggiani, D’Annunzio fece in modo che ella le fosse da costui presentata. Il resto è storia quasi minuziosamente descritta da oltre mille lettere scritte in cinque anni.

La bella signora era Elvira Fraternali, di un anno più grande di D’Annunzio. Romana, anzi di Trastevere, come tradiva il suo accento, di buona famiglia borghese, appartenuta a quelle di discreta estrazione economica ma non nobile, che Ugo Ojetti nei suoi scritti chiama “il generone” volendo intendere quella classe sociale arricchitasi con il lavoro ed assurta, per via della ricchezza, ad ambiti altrimenti deputati ai soli nobili. Il padre Nicola e la madre Angela Pellicciari avevano preteso che sposasse proprio l’anno prima, un conte bolognese, Ercole Leoni, ricco del titolo (ma sulla cui autenticità gravano non pochi dubbi), in realtà poco provvisto di denaro ed ancor meno di raffinatezza ed educazione. Il matrimonio, impostole s’era rivelato un autentico disastro: il Leoni, poco avvezzo agli slanci sensuali e forte di un esperienza da postribolo, l’aveva riempita di disgusto, peraltro tramettendole una malattia venerea sin dall’inizio del contatto nunziale. Per questo motivo la giovane moglie era ritornata nella casa materna, risoluta a non far più ritorno al domicilio coniugale. La madre insisteva come poteva, per sottrarre Elvira alla maldicenza, auspicando un ripensamento e la ripresa del matrimonio. Intanto la ragazza si godeva la convalescenza e rimandava ogni decisione, ben decisa a non distruggersi ulteriormente la vita con un uomo con il quale non condivideva alcun interesse. Elvira non ne era priva; aveva studiato pianoforte al Conservatorio di Milano ed era un’abile pianista. Coltivava interessi in letteratura ed in pittura e si dilettava in versi. Tutto lontano anni luce dal conte bolognese, che distratto da bisogni materiali si districava tra le angustie di un dissesto finanziario, tale da confermare ancor di più le ferme decisioni della giovane. Elvira passeggiando in via del Babuino, però, andava incontro al suo ingrato quanto immeritato destino, oscuro come quello di larga parte delle donne dannunziane.

Il 4 Aprile i due si scambiavano il primo bacio. D’Annunzio sapeva prendere fuoco bene e si gettò nella relazione con tutto l’ardore di cui era capace, travolgendo la poveretta che in quel momento era priva delle indispensabili difese per fronteggiare un tale ciclone. Neanche a dirlo, il nostro, diede subito al legame un taglio di marca squisitamente sensuale, facendo scoprire all’improvviso, alla giovane donna un mondo non solo sconosciuto, ma impensato, posto che dopo il Leoni, manesco e volgare, Elvira aveva creduto a ragione che le gioie del sesso le fossero precluse o che fossero pura fantasia. In breve l’alunna pareggiò il maestro ed anzi gli teneva testa, sì da inorgoglire il Vate al quale ben presto ella diventò indispensabile.
“In me hai una vergine” le disse. E da un punto di vista concettuale era verissimo. D’Annunzio, cui pure aveva caro il nome della giovane, lo stesso della sua sorella preferita, forse per non evocare un ambito incestuoso, la ribattezzò Barbara e con un’altra miriade di nomignoli, preferendo tuttavia sempre il primo. E così è giunta fino a noi. Barbaro è il selvaggio modo di amare, senza freni, né inibizioni, al di là di convenzioni e pudori; lacci che Elvira aveva subito reciso, assecondando pienamente la natura lussuriosa di lui. Così divenne Barbara, o Barabarella nei momenti di tenerezza, non mancando di tramutarla persino in “ Vaccarella” alludendo ad una piena corrispondenza dei sensi, cui il Maestro l’aveva iniziata. Donna Maria attendeva in casa, ormai rassegnata alle sempre più frequenti assenze del marito. Era di nuovo incinta. In settembre le nascerà il terzo figlio. Il bilancio familiare di casa D’Annunzio era pressochè fallimentare; le entrate venivano surclassate dalle uscite, per far fronte ad una vita ben al di sopra delle aspettative: quelle di lui, ben inteso, perché Donna Maria in rotta con la famiglia d’origine, inseguiva le esigenze quotidiane con l’aiuto – forse non proprio disinteressato, dal momento che era anch’essa una bella donna – di Maffeo Sciarra, principe e principale di D’Annunzio, quale proprietario de LA TRIBUNA. Intanto Elvira doveva fare i conti anche col marito. Il Conte Leoni era ritornato a Bologna, inseguendo il suo impiego alle Dogane, ma veniva spesso a Roma, giusto per ricordare alla moglie i suoi doveri. Era pur sempre una donna sposata e doveva salvare la facciata. La madre implacabile le ricordava i suoi doveri e sperava ancora in un ripensamento. Gli amanti, invece coinvolti nella loro passione consumavano i loro incontri d’amore nello studio del pittore Guido Boggiani e poi in via Borgognona, un “buen retiro” che si era procurato lui per la necessità. L’estate si avvicinava e i Fraternali, per salvarsi dall’afa romana e distrarre Elvira, decisero di trascorrerla a Rimini, gettando gli amanti nella più cupa disperazione. Ora, di momenti da trascorrere insieme, non ce ne sarrebbero stati più. D’Annunzio era provatissimo. Ci fu un episodio particolarmente indicativo. Mentre era al caffè Morteo con amici, vide il Leoni che aveva appena accompagnato Elvira alla Stazione, ebbe un moto di rabbia e scoppiò a piangere, tanto quel distacco gli pesava.

A lenire il suo dolore pensò bene Adolfo De Bosis, buon amico di Gabriele, poeta egli stesso e letterato di ottima fattura. Era innamorato di Elvira e non osava dichiararsi, vuoi per rispetto dell’amicizia con D’Annunzio, vuoi perché intuiva l’inevitabile rifiuto. Aveva naturalmente taciuto della sua passione con tutti. Durante una delle riunioni al solito caffè Morteo, divenuto salotto di quella cerchia letteraria, il De Bosis affermò di aver acquistato un’imbarcazione, un cutter per la precisione, e di voler farvi una crociera lungo l’Adriatico, imbarcandosi ad Ortona, nell’Abruzzo meridionale, per far rotta verso Venezia, chiedendo chi fosse interssato a seguirlo. D’Annunzio, che non conosceva Venezia e che bramava di visitare ed avendo forse la possibilità di far tappa a Rimini ed incontrarsi così con Elvira, accettò immediatamente la proposta. Il 13 Agosto, partì da Roma con Maria ed i figli alla volta di Pescara. La moglie era all’ottavo mese di gravidanza e Gabriele non trovò di meglio che metterla nella mani dei suoi familiari per l’imminente parto ed avere mano libera per i suoi progetti sentimentali. Quindi raggiunse il De Bosis ad Ancona che era colà sbarcato a bordo del suo “Lady Clara”e si diede inizio alla crociera. Elvira invece, sorvegliata a vista dai suoi e particolarmente dalla madre, non aveva trovato modo di liberarsi per raggiungere Gabriele. Si rese pericoloso uno sbarco del “Lady Clara” a Rimini, perché con la assillante presenza della sua famiglia, le sarebbe stato impossibile vederlo e sarebbe stato crudele pensare che egli fosse lì senza poterlo incontrare.

La crocierà del “Lady Clara” fu assai problematica. Qui basti affermare che i due sbarcarono, sia pur ingloriasamente, a Venezia. Il 15 settembre Elvira sfuggendo alla guardia feroce della sua famiglia, lo raggiunse nella città lagunare, dopo 45 giorni di penoso distacco, ma dovette scappare subito per non destar sospetti, regalandogli solo 24 ore di disperata felicità voluttuosa. Il dolore della partenza fu però mitigato da una fugace storia con una donna, rimasta ignota, cui aveva imposto il soprannome di “Dolciamara” sperimentando “la teoria sfrontata dell’infedeltà”, come riporta Chiara nella sua rigorosissima biografia. Il 22 nasceva il terzo figlio, cui il Poeta, laconicamente, propose di attribuirgli il nome di Veniero, in omaggio alla città che lo ospitava, anche se a pagare i conti dell’albergo Beau-Rivage e quelli del soggiorno, era il munifico De Bosis, il quale decise di rientrare a Roma a fine mese, provocando, per inerzia, anche il rientro di D’Annunzio. Con la famiglia, così aumentata, Gabriele si traferì in via del Tritone 201 al palazzo Martinori, in Roma, senza cessare gli incontri con Elvira, divenuta disponibile con il ritorno nella Capitale, nel discreto appartamentino di via Borgognona.

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