Gabriele, realmente insofferente alla vita di caserma, se ne lamentava con chiunque andasse a fargli visita. Elvira ne era preoccupata e scrisse a Michetti invocandone l’aiuto, ma la leva doveva essere consumata fino alla fine. In realtà non era un grandissimo sacrificio. La sua base era a Roma; godeva di numerosi permessi e licenze, molte delle quali trascorse con la sua amante. Per il terzo anniversario, andò con lei a passeggio nella Villa Cesarini a Genzano. Il 5 Aprile 1990 le rese note due polluzioni notturne avute in suo onore, mentre era a Pescara e il 28 andò con lei a Nemi, ma non deve essere stata una gran giornata, se è vero che sul conto del pranzo, pervenuto anni dopo tra le carte di lei, egli trascrisse che era lunatica come il tempo.
Il 23 maggio ancora interveniva la famiglia Fraternali che imponeva ad Elvira di andare a Torino dalla solita sorella, dove venne tempestata di lettere e telegrammi da Gabriele, il quale aveva avuto la sfrontatezza di allestire un nuovo “buen retiro”al pianterreno di via Piemonte, nella stessa casa in cui abitavano moglie, figli e suocera. Evidentemente la crisi coniugale era aperta e la disperazione di Donna Maria ora produceva i suoi più deleteri eccessi. Stanca di soffrire e di essere umiliata senza ritegno, il 6 giugno si gettò dalla finestra. La scarsa altezza fece si che i danni fossero limitati. Sulle motivazioni del gesto abbiamo due versioni contrastanti: quella di Maria a Guglielmo Gatti e quella di Elvira a Mario Guabello. Secondo Maria, voleva uccidersi per il rifiuto del padre a perdonarla; secondo Elvira, donna Maria si era gettata dalla finestra dopo una lite col marito che l’accusava di essere l’amante di Vincenzo Morello il famoso giornalista, direttore della “Tribuna Illustrata”, che, peraltro, andava pubblicando a puntate, “L’Invincibile”.
Gabriele e Maria si separarono e non tornarono più insieme. Dopo le naturali acredini inziali, conservarono, tuttavia, rapporti civili ed assai amichevoli: lui sarà spesso suo ospite a Parigi e lei avrà residenza alla villa Mirabella nel Vittoriale, durante gli anni del tramonto.
Ma in quell’estate del 1890 D’Annunzio si sistemò in via Gregoriana 5 a Roma; uno stanzone dove riunì tutte le suppellettili che aveva raccolto ed iniziò una vita da single, pur essendo sempre sotto le armi. Il periodo di ferma scorse tra Faenza ove era stato destinato il suo reggimento e Bracciano dove si organizzarono delle manovre militari.
Elvira era diretta ancora a Rimini con la sua famiglia, ma non fece mancare all’amante incontri ed appuntamenti, scanditi da un ritmo sessuale marcato e quasi ossessivo, per tutta la durata della ferma. Dopo la nomina a sottotenente, venne posto in congedo. Era il 31 ottobre. Il servizio militare, che aveva definito sgradevole e inutile, era durato un anno. In novembre Elvira, che soffriva di vaginite, decise di farsi operare, come si usava in quei tempi, in casa. D’Annunzio, compenetrato nel dolore e nella preoccupazione, era stato accettato dai Fraternali e faceva visite quotidiane per avere notizie della malata. Le impressioni ed i particolari, raccolti nei suoi taccuini, finiranno nelle pagine de “L’Innocente” per descrivere una operazione analoga, subita dalla protagonista Giuliana Hermil.
Va qui detto che l’istinto paterno della dissipazione s’era già pienamente impossessato di D’Annunzio ed aveva iniziato ad accumulare debiti per pagarne altri, ingigantendo così la sua esposizione passiva. A questo aveva certamente contribuito l’anno di ferma militare, durante il quale Gabriele non aveva limitato le sue uscite, ma le aveva decuplicate, pur non avendo a disposizione adeguati introiti. Non avendo più largo accesso al credito aveva coinvolto anche Elvira, facendole firmare cambiali, finite in mani a strozzini. In breve la casa di via Gregoriana divenne meta di creditori e uscieri rendendo così impossibile la vita agli amanti.
Per le feste di Natale 1890 fece visita ai suoi a Pescara, certamente anche per darsi un po’ di tregua con i creditori che ormai lo braccavano. Purtroppo anche lì le cose non erano migliori, né più serene; era l’altra faccia di un dissesto che produceva gli stessi sgradevoli effetti. Un altro D’Annunzio, suo padre, nella Villa del Fuoco, storica proprietà della famiglia, poco distante da Pescara, che aveva visto la luna di miele di Gabriele e Maria e i primi vagiti del loro figlio Mario, stava sperperando ogni risorsa con le sue amanti e coprendo di vergogna la sua famiglia, dopo essere stato un notabile della città e più volte sindaco. Gabriele, disgustato forse perché aveva potuto vedere le conseguenze della sua stessa situazione, tornò a Roma, incapace di sopportare oltre quello strazio. Ma anche la sua vicenda precipitò di lì a poco.
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