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Influenze dannunziane - Anno 1888 (Barbara Leoni)

La relazione scorreva tranquilla durante tutto il primo trimestre dell’anno successivo, nonostante entrambi fossero accerchiati da problemi gravi. Lei dal ritorno del marito, deciso a pretendere i doveri coniugali, reclamati anche con percosse; lui costernato dalla vista dei lividi di lei, ma più prosaicamente dalle angustie familiari di casa propria, avendo il Duca Giulio Harduin di Gallese chiuso ogni cordone della borsa; nonchè quelli della casa propria, dove suo padre, Don Francesco Paolo, proseguiva definitivamente a dilapidare il patrimonio familiare. Le cose, su questo secondo fronte, presero una piega importante tanto da giustificare la presenza di D’Annunzio a Pescara a compiere l’incombenza di interdire il genitore in modo da renderlo inoffensivo. Il “buen retiro” di via Borgognona fungeva ora anche da ufficio, poiché il Poeta vi lavorava, con l’aiuto di Elvira. Ella ricopiava i suoi scritti con una calligrafia tanto simile, rispetto all’originale, da mettere in difficoltà gli esperti, che l’esamineranno anni dopo. Ma non solo. Scriveva essa stessa sonetti, uno dei quali verrà incluso ne “La Chimera” e soprattutto iniziò D’Annunzio alla lettura dei scrittori russi, l’influenza dei quali apparirà prepotente nei successivi romanzi. Purtroppo la felicità era offuscata da tristezze materiali.
La situazione in casa Harduin non era semplice. I genitori di Maria erano di fatto separati. A palazzo Altemps, dimora di famiglia, vivevano il Duca ed il figlio. La madre, donna Natalia dei Marchesi Lezzani, abitava in via Piemonte 1 ed era la sola a mantenere contatti con la figlia. Quest’ultima, provata dal distacco dei genitori, dall’astio determinato del padre, che mai aveva approvato le nozze con D’Annunzio, della penuria di denaro, dalla latitanza del marito che rendeva vano qualsiasi sacrificio ella affrontasse ed infine dalla conoscenza della relazione con Elvira, diede segni di cedimento. Gli amanti conobbero una crisi che si consumò in quella estate, ma vennero costretti ad una nuova separazione. Era successo che ormai la loro relazione era di dominio pubblico ed il Leoni ne era venuto a conoscenza. Elvira aveva abbandonato il tetto coniugale e si era rifugiata, ancora una volta presso la madre. Per mitigare le ire di tutti e scongiurare le inevitabili conseguenze, dichiarò che l’amore con D’Annunzio era finito e che non lo avrebbe più rivisto. Così due mesi dopo che costui partì per Pescara decise di lasciare Roma per raggiungere la sorella Teresa a Tigliole d’Asti, dando a tutti l’impressione che il distacco con Gabriele fosse autentico. Ma non era così.
D’Annunzio il 26 Luglio 1888 aveva iniziato “Il Piacere” e si era rifugiato a Francavilla, poco distante da Pescara, ospite di Francesco Paolo Michetti nel suo famoso “Convento”, una costruzione che comprendeva, oltre la casa, il suo studio di pittore, da lui acquistata cinque anni prima, a coronamento di un sogno, testimone della sua notorietà nel campo della pittura. Michetti era il buon padre che a Gabriele era mancato. Leggermente più anziano di lui, per capirne le irruenze, ma dotato di un equilibrio e di una sobrietà per rimproverarlo ogni qual volta dimenticasse i suoi doveri.
Di casa sua non sentiva la nostalgia. Anzi la visione della madre, impotente di fronte ai dissesti del marito e della sua condotta scriteriata ( di cui Gabriele aveva ereditato gli impulsi) e delle sorelle costernate per affrontare tanto dolore, non lo facevano concentrare sulla nascenda opera. Sordo ad ogni richiamo, persino a quelli di Elvira che invocava un fugace incontro a Torino, non si mosse dal “Convento” fino alla fine del romanzo, la cui ultima pagina fu vergata a Dicembre.

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Gabriele e Barbara
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