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Il libro della memoria che vien meno

Durante il periodo francese D’Annunzio, esiliato volontariamente dall’Italia, invia al “Corriere della Sera” alcuni articoli in cui narra vari episodi della sua vita, questi articoli sono le prime “faville” che il poeta comincia a comporre, quasi a preannunciare una specie di chiusura del periodo romanzesco e dell’inizio di un altro periodo che andrà sotto il nome di “notturno”. È assai importante capire questo periodo perché da esso si giungerà a comprendere come sia nato il Libro segreto.
Si diceva che D’Annunzio comincia a pubblicare alcuni episodi della sua vita sul quotidiano italiano ed è appunto da questo che ha inizio la genealogia del Segreto. Attraverso queste “faville” il poeta rievoca vari periodi della sua vita in cui ha raccolto amanti, conosciuto persone, giungendo persino a improvvisarsi critico d’arte e a mettersi in discussione con l’amico Angelo Conti. Il D’Annunzio delle “faville” è un D’Annunzio che comincia a sentire il peso della proprio vita, a cinquant’anni suonati il poeta comincia a riavvicinare tutto quello che è stato della propria vita. Sempre in quel periodo, forse ancora prima, comincia ad abbozzare il volume autobiografico Il secondo amante di Lucrezia Buti, che pubblicherà assieme al primo tomo delle Faville del maglio nel 1924 ed è proprio nell’avvertenza di questo volume che D’Annunzio racconterà come cominciò a raccogliere in “una grande cartella di cordovano fulvo, una vecchia legatura vedova a cui non eran rimasti se non il dosso e le due tavole” i primi segni della mente che vien meno. Da questo fatto nascerà il tardo Libro segreto, quello che sarà per D’Annunzio il libro più sincero della sua vita, dove D’Annunzio si spoglia interiormente, si fa vedere nudo e denuda anche la propria vita, quella che da quando aveva diciotto anni era sempre stata all’insegna del lusso sfrenato e dei bagordi con gli amici, con le amanti. Ma questo volume vuole appunto far vedere la vita del vero Gabriele D’Annunzio, non vuole decantare la vita che appariva di giorno in giorno sulle colonne delle cronache rosa, no, non vuole più far vedere il D’Annunzio della Capponcina, quel poeta che secondo le mille dicerie “calzava pantofole di pelle umana” e “usciva dalla spuma marina mentre la Duse lo aspettava con un peplo scarlatto in riva al mare”, vuole mettere per iscritto la più semplice verità, quella verità che nessuno conosce. D’Annunzio negli anni in cui attende alla stesura del romanzo Forse che sì forse che no si reca più volte a Volterra in una sorta di pellegrinaggio, sale a piedi le irte colline che portano alla città toscana e in quest’ultima non lascia i segni del suo passaggio, il poeta non si fa riconoscere per le sue stranezze o per la sua eccentricità, anzi davanti a Volterra si fa vedere umile come “un frate francescano”, non a caso essa è una delle “città del silenzio” di Elettra e nel componimento stesso si ode l’aria di rassegnazione e di umiltà davanti a essa:

” Poi la mia carne inerte si compose nel sarcofago scuoto d’alabastro “

È proprio questa l’umiltà, la vera umiltà dannunziana e non si può scordare che D’Annunzio era stato ordinato terziario francescano proprio nell’anno in cui compone le Laudi. I critici dell’epoca e molto probabilmente anche quelli di ora passano oltre questo aspetto, si vedono attratti dalla solita tematica superomistica, dalla rievocazione dell’antichità e del mito e tralasciano lo sguardo al D’Annunzio umile e pentito. Ma ritorniamo a noi.

Durante la composizione delle prime “faville” D’Annunzio dunque sente addosso il peso di una vita fatta di sfrenate stravaganze e di libertinaggio, sente addosso la colpa di aver lasciato la moglie ad accudire tre figli, infatti lei si riavvicinerà a D’Annunzio proprio nel periodo francese e gli starà accanto per tutto il tempo del Vittoriale, incolpando continuamente la Bàccara e risentendo nell’animo di nuovo quel brivido d’amore per il suo Gabri; inoltre D’Annunzio sente addosso anche il peso delle proprie azioni, oltre alla moglie ha abbandonato anche la Gravina con la figlia Renata, ha lasciato morfinomane Alessandra di Rudinì e inoltre ha sofferto pesantemente per la pazzìa della contessa Giuseppina Mancini. Insomma D’Annunzio si trova nel periodo in cui deve tirare le somme, ma a distoglierlo da questa concentrazione sulla propria anima è l’inizio della Prima Guerra Mondiale, a cui darà la propria partecipazione con l’anima e il corpo. Ma tornerà bruscamente a riprendere questa via interiore nel momento in cui perderà l’occhio destro in un “tragicomico incidente” come lo definì lui stesso. Immobile su di un letto e con la figlia Renata a fianco comincerà a comporre il Notturno che concluderà solo nel 1921, ma è appunto questo il momento in cui ha inizio le gestazione, seppur lontana, del Libro segreto e la ripresa delle future Faville del maglio.

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