O colli dove nacqui, sempre vi avrò nel cuore,
distesi alla gran luce del meriggio d’estate,
silenziosi, coperti i larghi fianchi di boschi,
dov’io fanciullo ignaro, scorazzavo e già i primi
sogni mi tormentavano e struggimenti di gloria,
colli, oh colli ove nacqui, che svanite lontano,
oh sapessi io mai dire ciò che siete per me !
E vi rivedo ancora profilarvi nel cielo
infiammato al tramonto e riodo levarsi
su dalle coste vostre i canti che, dai filari,
lieti i vendemmiatori levavano alla brezza
della sera: rivedo me stesso ancor fanciullo,
steso nell’erba fresca, spaziare lo sguardo
perdutamente in alto, negli incendi di nubi…
Oh! quando mi sovvengono di questi rapimenti
che chiuso in mezzo a voi m’ebbi, ancor sì fanciullo,
mi s’acqueta nell’anima ogni dubbio e confido.
Ed è il pensiero della morte
che in fondo
aiuta a vivere….
( Umberto Saba )
I.
Sui gradini consunti, come un povero
mendicante mi seggo, umilicorde:
o Casa, perché sbarri con le corde
di glicine la porta del ricovero?
La clausura dei tralci mi rimorde
l’anima come un gesto di rimprovero:
da quanto tempo non dischiudo il rovero
di quei battenti sulle stanze sorde!
Sorde e gelide e buie… Un odor triste
è nell’umile casa centenaria
di cotogna, di muffa, di campestre…
Dalle panciute grate secentiste
il cemento si sgretola se all’aria
rinnovatrice schiudo le finestre.
II.
Il profumo di glicine dissìpi
l’odor di muffa e di cotogna. Sotto
la viva luce palpiti il salotto!
E il mio sogno riveda i suoi princìpi
nei frutti d’alabastro sugli stipi –
martirio un tempo del fanciullo ghiotto –
nei fiori finti, nello specchio rotto,
nelle sembianze dei dagherottipi.
O casa fra l’agreste e il gentilizio,
coronata di glicini leggiadre,
o in mezzo ai campi dolce romitaggio!
Fu bene in te, che, immune d’artifizio,
serenamente il padre di mio padre
visse la vita d’un antico saggio!
III.
O Nonno! E tu non mi perdoneresti
ozi vani di sillabe sublimi,
tu che amasti la scienza dei concimi
dell’api delle viti degli innesti!
Eppur la fonte troverò di questi
sogni nei tuoi ammonimenti primi,
quando, contento dei raccolti opimi,
ti compiacevi dei tuoi libri onesti:
il tuo Manzoni… Prati… Metastasio…
Le sere lunghe! E quelle tue malferme
dita sui libri che leggevi! E il tedio,
il sonno… il Lago… Errina… ed il Parrasio…
E in me cadeva forse il primo germe
di questo male che non ha rimedio.
IV.
Nonno, l’argento della tua canizie
rifulge nella luce dei sentieri:
passi tra i fichi, tra i susini e i peri
con nelle mani un cesto di primizie:
«Le piogge di Settembre già propizie
gonfian sul ramo fichi bianchi e neri,
susine claudie… A chi lavori e speri
Gesù concede tutte le delizie!».
Dopo vent’anni, oggi, nel salotto
rivivo col profumo di mentastro
e di cotogna tutto ciò che fu.
Mi specchio ancora nello specchio rotto,
rivedo i finti frutti d’alabastro…
Ma tu sei morto e non c’è più Gesù.
V.
O tu che invoco, se non fosse l’io
una sola virtù dell’Apparenza,
ritorneresti dopo tanta assenza
tra i frutti del frutteto solatio.
Verresti dal frutteto dell’oblio,
d’oltre i confini della conoscenza,
a me che vivo senza fedi, senza
l’immaginosa favola d’un Dio…
Ma non ritorni! Sei come chi sia
non stato mai, o tu che vai disperso
nel tutto della gran Madre Natura.
Ohimè! Sul pianto pianto nella via
l’implacabilità dell’Universo
ride d’un riso che mi fa paura.
VI.
«Beati mortui qui in domino moriuntur»
(Cartiglio dell’orologio solare)
Avventurato se colui che visse
pellegrinando, eppure così v’agogna,
o vecchie stanze, aulenti di cotogna,
o tetto dalle glicini prolisse,
avventurato se colui morisse
in voi! E in Te, Gesù, nella menzogna
dolce, rendesse l’anima che sogna
alle tue buone mani crocefisse!
Questo è nei voti del perduto alunno,
o Gesù Cristo! Un letto centenario
m’accolga sotto il monito dell’Ore.
Ritorna la viola a tardo autunno:
non morirò premendomi il rosario
contro la bocca, in grazia del Signore?
…ancora un anno è bruciato,
senza un lamento,
senza un grido levato a vincere
d’improvviso, il giorno.
( Salvatore Quasimodo )La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara, amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
ed il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
( Eugenio Montale )
Forse perché della fatal quïete
tu sei l’immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inqïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensieri su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirito guerrier ch’entro mi rugge.
Ora dove sei,
piccola mano, intangibile ormai
che troppo piano strinsi…
( Gabriele D’Annunzio )Oh, bocca fanciullesca,
bocca cara,
che dicevi parole ardite, ed eri
così dolce da baciare…
( Umberto Saba )
Ma perché tanti ricordi
salgono dall’inutile passato?
Salgono col profumo del passato
da un cofanetto pieno di ricordi?
Ed ecco i segni, ecco le cose mute,
superstiti d’amori nuovi e vecchi,
lettere stinte, nastri, fiori secchi,
delle godute e delle non godute…
Desideri e stanchezze, indizi certi
d’un avvenire dedito all’ambascia
torbida che si schianta e che ci sfascia
rendendoci più tristi e più deserti…
Eppure, un giorno, questa febbre interna
parve svanire: quando ci si accorse,
tardi, di quella che sarebbe forse
per noi la sola vera amante eterna…
Tanto l’amammo per quel solo istante
ch’ella si volse pallida su noi
nell’offerta di un attimo, ma poi,
sparve, ella pure; sparve come tante
altre donne che passano, col viso
seminascosto dal cappello enorme
inasprendo la brama che non dorme
col baleno degli occhi e del sorriso…
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