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Il superuomo dannunziano

L’immagine del d’Annunzio è da sempre in qualche modo legata al culto del superuomo di Nietzsche anche se in realtà D’Annunzio ha veramente poco da spartire col “Zarathustra”.
Prima di affrontare l’argomento occorre fare una rapida digressione su Nietzsche ed il mito del superuomo.
Secondo Nietzsche, l’uomo vive immerso nell’eterno ritorno, in un tempo infinito ove tutte le situazioni e gli eventi possono ripetersi infinite volte. Esso è schiavo e vittima dell’eterno ritorno, assorbito in una dimensione perennemente ridondate. Il mondo è popolato da miriadi di persone che subiscono l’eterno ritorno senza tentare di elevarsi, rifugiati nelle regole e nelle sicurezze imposte dalla sovrastruttura e dalla loro patologica miopia. Incapaci di vivere di vera vita, queste persone, accettano di credere nella legge, nella religione, nella giustizia divina e vivono di orgoglio, umiltà, paure, virtù, senza mai tentare di uscire da questo perenne ed inarrestabile ciclo. Intraprendere la strada che conduce verso il superuomo, significa acquisire la consapevolezza della propria entità fisica, immersa nel mondo tangibile delle cose, capire che lo spirito esiste poiché esistono emozioni e compassione, poiché siamo immersi all’interno di un mondo in cui tutte le cose e le regole sono materiali e persino la parola e l’arte sono parte integrante di questa dimensione materiale.

Il superuomo secondo Nietzsche deve avere la capacità di diventare realmente se stesso, acquisendo consapevolezza dei propri impulsi, capire che in lui esistono forze oscure che alimentano l’albero del proprio essere, un albero altissimo dalle radici profonde permeate nella terra e che traggono forza dall’oscurità. Il superuomo è conscio del proprio lato oscuro e l’alimenta per produrre nuove virtù.
In quest’ottica l’uomo supera se stesso soltanto attraverso la creazione di nuovi valori che gli permettono di acquisire una visione lineare del tempo e liberarsi dall’eterno ritorno, accettando il rischio di non venire più compreso dalla gente comune.
Il superuomo perciò non è la figura popolare, che sale alla ribalta e le cui parole sono comprese e approvate dalla moltitudine, il superuomo cambia il mondo ma lo fa lontano dalla folla, distante dal clamore e dalle luci della ribalta, poiché non sono quelle, cose che gli appartengono. Esso, trae dalla solitudine la voglia di parlare con voce nuova, contraddice persino se stesso e crede fermamente nella propria forza creativa. Per fare questo, il superuomo, deve ritornare ad essere un bambino che ascolta i propri impulsi al di la della ragione e della natura di essi, al di sopra della morale comune e delle regole imposte dal mondo. Il bimbo vive come la foglia o come il fiore, perseguendo il proprio scopo al di la del bene e del male.

In D’Annunzio c’è qualcosa del superuomo di Nietzsche, mentre tanto altro viene stravolto e modificato in maniera originalissima dal poeta. 
Innanzitutto il superuomo dannunziano assume le sembianze di poeta Vate, capace di essere una guida per il paese, incantare gli altri, sedurre le donne e vivere una vita originalissima. Una vita fatta di nuovi valori, ma molte volte lontani dalla pura introspezione, valori che divengono popolari, ricchi di forma e che possiedono una dirompente capacità di dare scandalo o di incantare gli altri. Il superuomo dannunziano trae dalla forza del bambino lo stupore, alimenta la propria creatività come un dilettante di emozioni incuriosito dal mondo e consacra all’arte la propria virtù.
C’è nel culto del pericolo e nel mito dell’ardito, una sorta di rifacimento al superuomo di Nietzsche, ma anche questo è circondato da un alone di forma artistica e di auto-celebrazione che rendono quello di D’Annunzio un superuomo del tutto differente, un superuomo che ha saputo incantare, creando nuovi valori basati sul culto dell’estasi, sulla forma e sulla ricerca sfrenata di una nuova coscienza estranea alla morale comune.
Eppure D’Annunzio, ha dimostrato di conoscere chiaramente le regole terrene attraverso le quali dominare il mondo anche dopo la propria morte, far si che gli studiosi di tutte le epoche non si fermino a contemplarne la produzione letteraria poiché proprio la sua vita è divenuta la sua più grande opera d’arte, ed in questo D’Annunzio supera se stesso, divenendo Superuomo.

– Daniele

Nietzsche
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