Tutti i biografi sono concordi nell’individuare nella data del 5 febbraio 1883 il momento in cui i due si conobbero per la prima volta. Lo si ricava da un autografo dello stesso D’Annunzio sul frontespizio di un album regalato a Maria. E questo è l’unico indizio di cui disponiamo.
Il futuro Vate, terminati gli studi al Collegio Cicognini di Prato si trasferì a Roma e venne introdotto da Edoardo Scarfoglio, suo corregionale ed amico, nelle redazioni dei molti giornali che si pubblicavano nella Capitale. D’Annunzio si tuffò nell’avventura giornalistica, abbandonando di fatto l’università. Era dunque diventato redattore delle testate più in voga, specializzandosi in un genere che è tutt’ora largamente in auge: la cronaca rosa ed il pettegolezzo. Teatro delle sue cronache erano tutti gli avvenimenti mondani, ricevimenti, feste e quant’altro fosse necessario per far sfoggio di sé ed alimentare l’immancabile gossip che condisce gustosamente ogni cronaca. Non era il suo mondo, ma ci stava bene e desiderava frequentarlo. I nobili romani erano l’oggetto dei suoi studi: toilette, abitudini, usi e convenzioni, ma anche duelli, risvolti piccanti ed intrecci amorosi. Null’altro si esaminava del mondo che si stava svolgendo al di fuori di questa nicchia riservata ad una classe sociale che contava i suoi ultimi anni.
E così il giovane Gabriele, rabbioso per non essere un nobile di pari schiatta, entrava dalle scale di servizio, rendendosi famoso per le cronache quotidiane e gli articoli di giornali, capaci di attirare la curiosità del pubblico e la soddisfazione di chi vi era descritto.
Palazzo Altemps, ora sotto la direzione della Duchessa Natalia, era un bersaglio invidiabile. Era noto, negli ambienti chiacchierati, quanto costei fosse infelice e che vivesse di fatto separata in casa. Era, del pari, nota la sua avvenenza di donna quarantenne, non ancora sfiorita, così come era noto il circolo letterario ed artistico che aveva istaurato a Palazzo; circolo nel quale prediligeva i poeti, specie giovani, come il nostro Gabriele. Quest’ultimo vi si era introdotto per ragioni di lavoro, ma anche per essere beneficato da un’amicizia che avrebbe potuto condurlo verso traguardi ambiti. Ma c’era anche Maria.
Orgoglio di casa. Bella da mozzare il fiato. Bionda ed alta, a cui la natura aveva risparmiato ogni difetto, tranne forse un acume non eccessivamente sviluppato ed un’intelligenza che non arrivava sino alle soglie della determinazione e della cattiveria. Senza dubbio il più bel partito di Roma. Jules contava molto su di lei. La riteneva degna di un matrimonio che illuminasse ancor di più la sua famiglia e molte erano le richieste, tanto che se ne poteva vagliare la scelta in tutta libertà. Ma a diciannove anni la ragazza scalpitava e sognava l’amore come lo aveva appreso dall’ambiente letterario ed artistico che con la madre condivideva. Cuore, passione e travolgimento dei sensi. Li trovò tutti nel poetino abruzzese che le si parò davanti negli splendidi saloni di palazzo. Del resto lui con la penna e con la voce non era secondo a nessuno e la ragazza non aveva nessuna protezione per distinguere un’emozione, pur forte, da un affetto solido e duraturo. Qualche anno dopo dirà : “…a quel tempo amavo la poesia, ma avrei fatto bene a comprare un libro, che mi sarebbe costato assai meno.”
Intanto però le cose procedevano nel loro corso naturale. L’incontro aveva infiammato i due giovani, ma aveva suscitato il più aspro contrasto dei genitori di lei. Donna Natalia, pur affascinata da Gabriele, del quale apprezzava il garbo e gli slanci artistici, si rendeva conto della disparità sociale dei ragazzi e che – cosa più grave – questo amore avrebbe potuto nuocere alle possibilità di un matrimonio all’altezza di Maria. Il Duca Jules era su posizioni ancor più conservatrici. Colpevolmente dimentico dei suoi trascorsi e del modo in cui era giunto in quella ambita posizione, giudicava semplicemente irriverente che un borghese, per giunta con scarsi mezzi, potesse ambire a cotanta mano e semplicemente ordinò che il poeta abruzzese non mettesse più piede a palazzo.
Iniziò un breve periodo di clandestinità, dove le intuizioni degli innamorati, sopperiscono ad una sutuazione avversa. Gabriele si appostava di notte sulle scalinate della chiesa di S. Apollinare, prospiciente palazzo Altemps ed aspettava che la luce di una stanza si accendesse. Era il segnale convenuto. Il Duca dormiva e quindi Maria poteva scendere ad aprirgli il portone. Si andò avanti così, con sotterfugi, fin quando fu possibile. Donna Natalia era ora impegnata nel comitato delle dame d’onore per il festeggiamento delle nozze tra Maria Isabella di Baviera e S.A.R il Duca di Genova ed aveva lasciato la corda un po’ lenta. Gabriele vinti tutti gli assalti, pubblicò sulla Cronaca Bizantina, il celebre sonetto: “ Il Peccato di Maggio” dove, tra lirismo decadente ed esagerato melodramma, è descritta la loro “ prima volta”. Ora la loro relazione era di dominio pubblico. Compreso, quindi, che con il Duca Jules non l’averebbe davvero spuntata, cominciò a pensare ad una fuga, per mettere tutti davanti ad un fatto compiuto e raggiungere così l’obbiettivo agognato.
Il 28 giugno Maria usci da palazzo e si recò all’incontro nel luogo convenuto con Gabriele. Insieme raggiunsero la stazione Termini dove presero un treno per Firenze; qui scesero all’Hotel Helvetia dove vi trascorsero la notte. La mattina successiva, a stanarli ci furono il prefetto Clemente Corte, senatore del Regno e Federico Colajanni, deputato abruzzese, amico di entrambe le famiglie, cui venne affidata Maria, che riportò immediatamente a Roma. I giornali diedero molto risalto alla notizia che fece immediatamente il giro delle redazioni. Per non compromettere totalmente l’onore di Maria, venne inventata una pietosa bugia, riportando che gli amanti erano stati raggiunti al loro arrivo alla stazione di Firenze, senza quindi passare la notte del 28 giugno insieme, ma pur con tale limitazione lo scopo era raggiunto. Riflettendo sulla tempestività dell’azione di Corte e Colajanni è verosimile pensare che la regia, nemmeno troppo occulta, dell’operazione fosse dello stesso Gabriele, il quale aveva avvertito per tempo chi di dovere affinchè intervenisse e sancisse, con la scoperta, l’inevitabilità del matrimonio. Ma Il Duca tenne duro. Chiuse la figlia nelle sue stanze e si oppose con rinnovato vigore a quelle nozze che sembravano una conclusione naturale. Forse c’era ancora da scegliere un buon partito e non tutto era perduto. La sua rabbia era del pari diretta contro la moglie che riteneva complice di quell’inetto di D’Annunzio, capace di abbindolare con le sue fandonie poetiche, solo donnette di scarso acume. Quello che il Duca non sapeva era però più grave. Il “peccato di Maggio” aveva dato i suoi frutti e Maria era incinta. Bisognava maritarla velocemente se si voleva evitare che un scandalo colossale travolgesse tutta la famiglia. Gabriele aveva vinto, ovvero il Duca era stato ripagato di tutto il beneficio ricevuto dagli Altemps.
Il matrimonio venne celebrato il 28 Luglio 1883 nella cappella di Palazzo Altemps. Fu una cerimonia triste e quasi deserta. Assente il Duca, che per protesta si era rifugiato a Gallese a covare il suo dolore; la Duchessa Natalia nascosta in un angolo assistette alla cerimonia tra i singhiozzi. Assenti ovviamente anche i genitori di Gabriele, cui era stata dal figlio spiegata la situazione e non ritennero opportuno partecipare. Si limitarono a mandare un telegramma augurale alla futura nuora. La cerimonia officiata da un cardinale, come si conveniva a nozze ducali, venne seguita da amici, tra i quali Matilde Serao, buona amica di Maria. Testimoni di nozze di Gabriele furono il fratello spirituale Francesco Paolo Michetti e Baldassarre Avanzini, direttore del “Fanfulla” di cui D’Annunzio era redattore.
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