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Gozzano e d'Annunzio

L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.

Gozzano rappresenta il perduto alunno della scuola D’Annunziana, colui che visse un rapporto conflittuale conteso fra amore ed odio nei confronti del Vate. Si nota che per quanto la sua poetica risulti a volte scialba, prosastica e discorsiva il poeta tende ad utilizzare stili, frasi e argomenti tipici di D’Annunzio.

È risaputo che fino a venticinque anni Gozzano nutriva per D’Annunzio un amore viscerale, confermato anche dalle lettere ad Ettore Colla in cui il poeta esprimeva la ceca fede nel verso e l’attaccamento alla maggiore opera D’Annunziana "Il Piacere".

Forse fu proprio la malattia a modificare il pensiero di Gozzano rendendolo poeta un anti-dannunziano che amava le cose semplici come starsene in cucina oppure esiliato in una villa solitaria lontano dalle lotte brutali e dai turbini violenti, lontano dal clamore dalla folla. Il linguaggio di Gozzano si fa sempre più dimesso, discorsivo, semplice, immediato, con una netta opposizione al canto pieno, introducendo temi quali il sentore della morte che incombe, il tempo che passa e che porta alla decadenza fisica e spirituale, le meste e squallide corsie degli ospedali, i giardini tristi e desolati in inverno, l’incapacità di nutrire l’amore nella società moderna, il desiderio di esilio dal mondo, la denuncia spietata nei confronti della classe dei poeti che svendono la loro arte come scaltre cortigiane sapute, l’odio e l’invidia nei confronti della società borghese una società frivola, vuota, intesa alla moneta, ma semplice ed ignorante del male di vivere, gli amori e le occasioni perdute, il desiderio e l’incapacità di amare, le amiche che invecchiano e l’onta della decadenza nei loro volti ed infine la malattia che lo rende esclusivo ovvero una persona in grado di stare al di sopra del denaro, del possesso, della gloria o delle lotte brutali di appetiti avversi.

Gozzano avverte l’incombenza della morte e l’impossibilità di risanare un mondo oramai giunto sull’orlo dello sfacelo, per questo genera una poetica che orbita attorno ad un microcosmo di semplici cose (il commesso farmacista, la cocotte, la nonna speranza, la signorina felicita, la giovane graziella, toto merumeni, le donne che mangiano le paste nelle pasticcerie, le donne ignote, l’amica che assomiglia alla bionda attrice famosa, l’analfabeta, l’amica risorta dal passato eterno) ed in queste semplici cose in sordina denuncia la società borghese, la vita di D’Annunzio intesa come esistenza vuota fine a se stessa che sfrutta l’ignoranza della società per esaltarsi, e salire alla ribalta…

L’alloro… Oh! Bimbo semplice che fui,
dal cuore in mano e dalla fronte alta!
Oggi l’alloro è premio di colui
che tra clangor di buccine s’esalta,
che sale cerretano alla ribalta
per far di sé favoleggiar altrui…

Gozzano e D’Annunzio rappresentano due facce della medesima medaglia, entrambi si sentono corrosi dalla tabe letteraria, avvertono l’impossibilità di fare poesia nella società borghese, ma le reazioni dei due sono diverse. Da una parte Gozzano preferisce l’esilio poiché non si sente membro della società contemporanea, D’Annunzio invece sfrutta la sua esclusività per porre le basi ad una vita inimitabile. E questo si riflette anche sul modo di scrivere di entrambi, D’Annunzio forbito ed aulico, Gozzano scialbo e prosastico come non dovesse chiedere l’approvazione di nessuno ( uno scolaretto diligente ).

da L’Altro

(…)
Mi è strano l’odore d’incenso:
ma pur ti perdono l’aiuto
che non mi desti, se penso
che avresti anche potuto,

invece di farmi gozzano
un po’ scimunito, ma greggio,
farmi gabrieldannunziano:
sarebbe stato ben peggio!

Buon Dio, e puro conserva
questo mio stile che pare
lo stile d’uno scolare
corretto un po’ da una serva.

(…)

da Signorina Felicita

(…)

Ed io non voglio più essere io!
Non più l’esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista…

Ed io non voglio più essere io!

(…)

Ed ecco svelato il rapporto conflittuale Gozzano – D’Annunzio, da una parte Gozzano risente inevitabilmente dell’influsso del suo passato mito e dall’altra parte avverte un senso di superiorità nei suoi confronti, come la sua poetica possa essere più schietta, immediata e sincera.

Il personaggio più d’annunziano e antidannunziano della poetica Gozzaniana è rappresentato da Toto Merumeni, l’uomo dalla spaventosa chiaroveggenza, dal buon gusto nelle opere d’inchiostro, dallo scarso cervello e dalla tempra sdegnosa ( lato D’Annunziano ) che però vive la sua vita in un dolce romitaggio, in una villa remota con una bertuccia, la madre inferma, il sogno ormai estinto d’un grande amore e l’amante diciottenne tipico Amore Ancillare ( lato Crepuscolare antidannunziano )

IL REDUCE

Totò Merùmeni

I.

Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei
balconi secentisti guarniti di verzura,
la villa sembra tolta da certi versi miei,
sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura…

Pensa migliori giorni la villa triste, pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.

Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,
Casa Rattazzi, Casa d’Azeglio, Casa Oddone,
s’arresta un’automobile fremendo e sobbalzando,
villosi forestieri picchiano la gorgòne.

S’ode un latrato e un passo, si schiude cautamente
la porta… In quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.

II.

Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere d’inchiostro,
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro.

Non ricco, giunta l’ora di “vender parolette”
(il suo Petrarca!…) e farsi baratto o gazzettiere,
Totò scelse l’esilio. E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.

Non è cattivo. Manda soccorso di danaro
al povero, all’amico un cesto di primizie;
non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro
pel tema, l’emigrante per le commendatizie.

Gelido, consapevole di sé e dei suoi torti,
non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche
“…in verità derido l’inetto che si dice
buono, perché non ha l’ugne abbastanza forti…”

Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca
coi suoi dolci compagni sull’erba che l’invita;
i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita…

III.

La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l’Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.

Quando la casa dorme, la giovinetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino…

IV.

Totò non può sentire. Un lento male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l’analisi e il sofisma fecero di quest’uomo
ciò che le fiamme fanno d’un edificio al vento.

Ma come le ruine che già seppero il fuoco
esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,
quell’anima riarsa esprime a poco a poco
una fiorita d’esili versi consolatori…

V.

Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende,
quasi è felice. Alterna l’indagine e la rima.
Chiuso in se stesso, medita, s’accresce, esplora, intende
la vita dello Spirito che non intese prima.

Perché la voce è poca, e l’arte prediletta
immensa, perché il Tempo – mentre ch’io parlo! – va,
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.

Dal mio punto di vista questa è una fra le più lampanti poesie in cui si nota il conflitto interiore del poeta poiché Toto rappresenta prima di tutto il Gozzano che ritrova la vita dello spirito dopo la vita dell’esteta, e nel contempo la critica a se stesso che trova rifioriti dei versi che consolano la sua pena.

Gozzano e D’Annunzio, due facce della stessa medaglia, l’uomo scoraggiato che assiste allo sfacelo della classe borghese e preferisce rinchiudersi in una vita scialba evocando “altri tempi” e l’esteta che sfrutta le precarietà della società del tempo per trarle a suo beneficio.

Entrambi si sentono diversi Gozzano non accetta la sua condizione e la subisce D’Annunzio la sfrutta o forse anche lui la subisce…

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