Romaine Beatrice Brooks apparteneva ad una ricca famiglia americana. Nacque casualmente a Roma nel 1874 mentre la madre si trovava di passaggio nella capitale (da cui il suo nome).
Il suo vero cognome era Goddard. Il padre, Henry Goddard , era figlio di un famoso predicatore e predicatore lui stesso, la madre, una donna bellissima, si chiamava Ella Watermann ed apparteneva ad una famiglia di fortunati affaristi.
Ebbe un’infanzia travagliata. I genitori ben presto si separarono ed ella visse con la madre tra l’Europa e l’America.
Ella Goddard era una strana donna che vessava i figli (Romaine ebbe un fratello, Henry St. Mar, ed una sorella, Maya ). Perennemente circondata da un nugolo di servitù, ignorava il concetto di ‘abitudine’. Per esempio non esisteva un’ora per andare a letto ed i pasti potevano venir serviti a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Quando la madre si accorse del talento che la figlia cominciava a dimostrare nel disegno le proibì tassativamente, senza alcuna spiegazione, l’esercizio cosicché Romaine dovette studiare di nascosto.
Ella dovette sopportare il dispotismo materno, tra collegi, incomprensioni e scenate, fino all’età di 21 anni. A quell’epoca se ne andò fuggendo di casa e visse sola e senza soldi a Parigi in mezzo ad artisti e bohemiens finché non riuscì a spuntare un assegno mensile dalla madre.
Romaine si trasferì allora a Roma e Capri dove prese a vivere in mezzo ad un gruppo di letterati ed artisti quali Munthe, Maugham, Benson, Douglas, Vedder, Freer e Whistler.
Le opere della Brooks cominciarono proprio allora ad assumere quella connotazione dei toni di grigio che sono la caratteristica più saliente della sua arte.
Era affascinata soprattutto dal nero e dal grigio intesi come colori che regalano più di altri un senso di inesprimibile e di ineffabile (anche se mai sereno o pacato).
Nel 1901 morì la madre e Romaine (con la sorella Maya poiché nel frattempo il fratello era morto) divenne l’erede di una cospicua fortuna che la mise al sicuro per tutta la vita da qualsiasi problema economico. La madre fu ricordata decenni dopo in maniera raggelante: “My dead mother gets between me and my life. I speak as she desires/ I act as she commands/ To me she is the root enemy of all things”.
In più, i suoi quadri cominciarono a darle una certa fama anche se, va detto, Romaine Brooks non dipinse mai per gli altri ma solo per se stessa, incurante di mostre e di critica.
Sempre nello stesso anno, tra la sorpresa generale, sposò l’esteta omosessuale John Brooks. Il matrimonio durò pochi mesi ma lei mantenne il cognome acquisito, non si sa perché. Nel 1909 arrivarono trionfalmente a Parigi i famosi Balletti Russi con la famosissima mima Ida Rubinstein. L’incontro tra quest’ultima e la Brooks mise a confronto due mondi e diede l’avvio ad una relazione che avrebbe reso cosciente Romaine della sua vera natura omosessuale. Ciò nonostante, in mezzo a loro piombò Gabriele d’Annunzio, al culmine della fama, che non perse occasione di intrecciare con entrambe una relazione che portò almeno Romaine ad innamorarsi profondamente di lui, unico uomo, oltre a ‘Roland’ Fothergill ad aver fatto breccia nel suo cuore.
Nel dopoguerra la Brooks frequentò inquieta i circoli letterari e l’alta borghesia, intrecciò relazioni con molte donne e non fece quasi più nulla perdendo ogni interesse alla sua pittura. Tra tutte le donne incontrate si lego’ soprattutto con Natalie Barney, con la quale ebbe una relazione che duro’ quasi vent’anni. La relazione, che fu tormentata dai tradimenti e dall’incostanza di Natalie, si concluse definitivamente nel 1946.
Romaine Brooks visse gli ultimi anni da reclusa. Assistita da due fedeli domestici, morì nel 1971 a Nizza in una stanza con le finestre chiuse, rischiarata da un’unica lampada, senza distinguere il giorno dalla notte, pranzando alle ore più strane, proprio come aveva fatto sua madre.
Un anno prima aveva concesso un’arguta intervista, ricordando D’Annunzio e la Rubinstein e ripercorrendo la sua vita. L’aveva conclusa dicendo: “…Sapete, con i casi della vita bisogna saper sorridere sennò la vita non è…..”. Aveva, disse Leon-Marie Emmanuel, suo nipote acquisito, uno spirito luminoso.
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